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Intervista ad Asuka Ozumi: traduttrice professionista, interprete e docente di lingua giapponese


ASUKA OZUMI è una traduttrice professionista, interprete e docente di lingua giapponese che ha lavorato con i principali editori italiani di manga. Tra i titoli tradotti nel campo dell’animazione troviamo Samurai Champloo ed Ergo Proxy (serie complete), mentre in ambito manga ha lavorato, tra gli altri, su Pokémon, Area D, Sunny, Our Little Sister, Tokyo Alien Bros. e Tokyo Kaido. Attualmente è direttore editoriale della collana Showcase, pubblicata da Dynit.

È inoltre docente del corso “Traduttore audiovisivo e sottotitolatore “, realizzato da Demetra Formazione con il finanziamento del Fondo Sociale Europeo e della Regione Emilia-Romagna (Rif.PA 2018-9766/RER). In particolare cura il modulo dedicato al mercato della sottotitolatura: le opportunità professionali offerte, le diverse forme contrattuali e il concetto di autoimprenditorialità, la costruzione di un progetto professionale personale, le tecniche per la ricerca attiva di lavoro e per lo sviluppo di un business plan.

Asuka Ozumi sarà ospite della nona edizione del Festival NipPop 2019, l’evento bolognese interamente dedicato alla cultura giapponese che quest’anno propone uno dei temi che animano il panorama culturale contemporaneo, in Giappone e non solo: la food culture.

 

Le abbiamo chiesto di rispondere a qualche nostra domanda sul suo lavoro e sulla cultura giapponese.

Come descriverebbe il suo lavoro? Come lo racconterebbe a una persona che non ha familiarità con il mondo della traduzione?

Parafrasando il celebre saggio di Umberto Eco, tradurre è “dire quasi la stessa cosa” da una lingua a un’altra, veicolando i concetti, ma anche rispettando ritmi e suoni, cercando inoltre di provocare nel lettore nella lingua di arrivo reazioni simili a quelle che provano i lettori del testo originale. Nel caso di alcuni tipi di traduzione, si pensi al fumetto o alla traduzione audiovisiva, a tutto questo si aggiunge anche la necessità di essere brevi e concisi, per cui le frasi devono rispettare alcuni vincoli di lunghezza.

Quanto è importante per il lavoro del traduttore conoscere a tutto tondo la cultura del paese della lingua di partenza?

Nonostante oggi il web sia una grandissima risorsa da cui attingere per trovare le informazioni più disparate, in una traduzione che non sia puramente tecnica la conoscenza della cultura del paese della lingua di partenza è fondamentale. Per fare un esempio banale e legato al cibo, ipotizziamo un testo italiano che descriva il sapore e la consistenza della mozzarella di bufala, magari in contrapposizione a quella vaccina: come si potrebbe rendere al meglio se il traduttore stesso non l’ha mai assaggiata? Oppure, per tornare al fumetto, penso a Zerocalcare: per poterlo tradurre occorre non solo conoscere a fondo il contesto storico in cui sono calate le sue storie, ma bisogna saper cogliere tutti i riferimenti alla cultura pop, ai personaggi televisivi e all’animazione giapponese.

Quest’anno il tema centrale del Festival NipPop è la food culture. Il cibo è ritenuto custode delle tradizioni di una civiltà di cui è espressione. Lei è giapponese ma vive a Torino, può dirci se ci sono differenze tra l’approccio al food nella cultura italiana e in quella giapponese? Il popolo italiano è spesso accusato di essere gastrocentrico: si sente spesso dire da italiani che “la cucina italiana è la migliore del mondo”. Qual è l’atteggiamento in Giappone? Gli italiani sono spesso inorriditi nel vedere le proprie pietanze cucinate all’estero. Cosa ne pensano in Giappone dei ristoranti che propongono pietanze giapponesi in Italia?

Come nella cultura italiana, il cibo riveste un ruolo fondamentale anche in quella giapponese, si pensi al fatto che la cucina giapponese, il washoku, qualche anno fa è stato riconosciuto come patrimonio intangibile dell’Umanità. La convinzione che la propria sia la migliore cucina del mondo penso sia un tratto comune a molte persone, a prescindere dalla nazionalità, e i giapponesi non fanno eccezione. Sulla cucina all’estero, in Giappone ci sono dei ristoranti italiani davvero ottimi: molti cuochi e chef si sono formati qui in Italia e ci sono diversi locali stellati. Sulla ristorazione giapponese in Italia bisogna distinguere tra ristoranti che servono anche alcune pietanze giapponesi, la cui qualità a volte lascia a desiderare, e ristoranti che servono cucina giapponese autentica, che può anche significare contaminazione. A Torino per esempio c’è Miyabi: chef Masa, pur rispettando la tradizione nipponica, dà molta importanza alla stagionalità dei prodotti e al km 0. Il suo tofu alla nocciola piemontese è un esempio perfetto di sinergia tra washoku e territorio e non a caso il locale è frequentato da molti giapponesi.


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